Un post arreso.

Sono circa le tre di notte e non ho sonno, solo qualche bicchiere di vino e qualche bottiglia di birra di troppo.  Ma il sonno no, non c’è. In compenso c’è tanta musica che passa nelle cuffie e il sito in down e alcune foto che aspettano di essere post prodotte. Però non ho voglia di farle, non ho voglia di capire se il sito in down per la scadenza del dominio (ricordavo fosse in scadenza, ma pensavo fosse ad ottobre) o per qualche altro motivo. Così scrivo senza motivo vero, non una mail o una presentazione per cercare qualche lavoro, scrivo come quando ero adolescente e leggevo libri su libri di Kerouac o Burroughs, Bukowski Palahniuk. Buttavo giù pagine ogni giorno fino a consumare quel che avevo da dire, senza mai però far leggere a nessuno. Per un certo tempo mi è mancato non farlo, ma poi cresci, smetti di scrivere, smetti di aver qualcosa da dire o quanto meno smetti di scrivere ogni giorno. Perde d’importanza quel gesto, non c’è più molto da dire ad un certo momento. Con i giorni che passano e le esperienze che si accumulano, i sogni che si spengono, l’assoluta fedeltà riposta nelle idee si affievolisce. Ogni giorno di più smetti di essere tra le righe da te partorite e quelle che leggi, diventi più un elemento della società che, giuravi, non ti avrebbe mai fatto sua. Arrivi ad essere quasi anagraficamente uomo senza sapere da che parte gli anni ti son sfuggiti di mano, non preoccupandoti più del passato che sarebbe potuto essere ben diverso e del futuro che adesso sai non sarà mai del tutto figlio delle tue scelte, ma lo sarà minimamente da quelle che il più delle volte sono scelte obbligate. Il tempo prima era impercettibile, era lungo a venire, era inconsistente, adesso è veloce, inafferrabile, anche se in maniera diversa è comunque fuori portata. Allora nulla più conta veramente, se non scivolare lungo i giorni del calendario e dei turni di lavoro. Giorno dopo giorno ci si disillude senza farci caso e si accetta di timbrare il cartellino per le bollette da pagare.

La grandine ha pestato forte oggi e lo scrivo senza uscire dal tema. Perché sarà un post arreso,  avrò parlato di quando scrivevo, avrò detto stronzate sul come ci si arrende all’età che avanza, ma se è arreso lo è per un motivo. Ci sono giorni arresi, complicati, dal sapore freddo e sgradevole, metallico. Ci sono giorni arresi, vuoti dentro, dubbi, e la certezza che c’è dell’insensato nella propria vita. Ci sono giorni arresi, hai passato da un pezzo il tempo dell’aver fiducia nelle idee, nei sogni, nei sentimenti, sei diventato cinico, calcolatore, sei diventato qualcosa che fa schifo. Mordi l’asfalto e ti si rompono i denti, sai che non si morde l’asfalto, lo fai per non arrenderti. Ma la realtà è che strisci sul manto della strada, dove i cani ci pisciano e le persone ci buttano le sigarette e frantumandoti i denti avanzi su quella superficie ruvida. Ci provi ogni tanto a mordere, fai finta di non esserti arreso, ma la verità è che quando i temporali incupiscono il cielo e vedi le persone maledire il tempo sei malinconico e non perché il tempo fa schifo. Ma perché qualche anno fa eri più vicino all’essere un temporale. Eri un cielo nero, eri un temporale. Molto semplicemente eri simile ad ogni cosa presente in natura: facevi quel che dovevi e quando lo sentivi necessario. I sentimenti e l’istinto li mischiavi e andavi per la tua strada. Proprio come la pioggia quando decide di allagare le strade, quando le foglie cadono, la grandine frantuma i vetri, il vento spazza via tutti. Così la pioggia ti ricorda quello che saresti dovuto essere per sempre, prima che i giorni accumulati incidessero su di te. Giuravi che non saresti stato l’ennesimo burattino, ma i giorni passano e la pioggia ti ricorda che sei soltanto l’ennesimo individuo arreso.

 

 

 

 

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